Quanto è forte, da parte degli utenti finali, la domanda di tecnologia invisibile? Quanto pesa la scelta di nascondere la tecnologia sulla qualità della performance? Quali sono i trend in atto in questo ambito? Abbiamo posto alcune domande sul tema a quattro System Integrator di grande esperienza. Ecco cosa ci hanno risposto. 




Quanto è forte la domanda di tecnologie invisibili da parte degli utenti finali? 

A questa domanda i quattro system integrator danno una risposta abbastanza unanime: la richiesta di nascondere le tecnologie, fino a renderle invisibili, è di sicuro molto forte in ambito museale, o comunque quando si opera in edifici storici e lo è ancora di più quando il progetto di restauro è così complesso da richiedere il coordinamento di un architetto. Sono infatti spesso gli architetti, più ancora degli utenti finali, ad avere a cuore il fatto che la pulizia delle linee dell’edificio non sia disturbata da schermi, cablaggi, videoproiettori e soprattutto dagli speaker, che in alcuni contesti sembrano essere il nemico numero uno dal punto di vista estetico.

La richiesta di tecnologie invisibili è in crescita anche in ambito civile e nell’hospitality, mentre in ambito corporate si punta più che altro su tecnologie esteticamente piacevoli e che integrino più funzioni in pochi device. 

Come sottolinea Alessandra Favella di Team Office SRL: «Gli utenti finali sono sempre più consapevoli dell’impatto visivo delle tecnologie e desiderano soluzioni che si adattino al design degli ambienti senza comprometterne l’aspetto estetico. La crescente attenzione all’estetica aumenta la richiesta di dispositivi discreti, con la riduzione di cablaggi visibili, comandi elettrici e apparecchiature ingombranti».

Bruno Maggi, di On Off srl, aggiunge qualche dato statistico: «Nella nostra esperienza, circa il 20% degli utenti finali chiede tecnologia nascosta e quasi sempre si tratta di una richiesta che proviene dagli architetti, i quali spesso puntano a un design minimalista. La richiesta nel nostro caso riguarda molto spesso la parte audio, mentre per quanto riguarda il video, la richiesta di tecnologia nascosta viene di solito dal residenziale».


Nella nostra esperienza, circa il 20% degli utenti finali chiede tecnologia nascosta e quasi sempre si tratta di una richiesta che proviene dagli architetti – B. Maggi


Alessandro Modena, IT manager di Opera Laboratori, aggiunge alla conversazione interessanti spunti soprattutto in relazione al mondo dei musei (Opera Laboratori, infatti, è un system integrator che ha oltre vent’anni di esperienza nel settore museale, gestendo musei come gli Uffizi, la Reggia di Caserta e l’Accademia di Brera a Milano): «Spesso – ci racconta – i musei in cui lavoriamo sono ospitati in spazi che non possono essere ‘disturbati’ dalla presenza troppo invasiva di device tecnologici: dobbiamo quindi, se non farli scomparire, almeno minimizzarne l’impatto. Per fortuna la tecnologia oggi lo permette, grazie a monitor con cornice sempre più sottile, ledwall con dimensioni custom, proiettori piccoli ma performanti, retroproiezioni».

Chiudiamo la carrellata di contributi relativi al tema della richiesta di tecnologia nascosta da parte degli utenti finali con le parole di Gianluca Tufarolo, manager della divisione multimediale di CWS Digital Solutions (system integrator che dedica un’attenzione particolare all’estetica ma anche agli ambienti e al trattamento acustico). Tufarolo da un lato conferma quanto detto dai colleghi, ma aggiunge anche una piccola nota fuori dal coro: «Confermo che la tecnologia nascosta è un tema molto caro agli architetti: nelle diverse installazioni effettuate in ambito museale, civile, corporate, enterprise, l’esigenza di nascondere la tecnologia è sempre stata prioritaria quando il progetto aveva una complessità tale da richiedere la presenza di un architetto, mentre il cliente finale di primo acchito pensa più alla performance che all’estetica. Devo però dire che, anche tra gli architetti, l’esigenza di nascondere la tecnologia si sta lentamente affievolendo: credo che questo accada in parte perché l’estetica dei prodotti è molto migliorata, in parte perché sta cambiando il gusto estetico, ma soprattutto perché esibire una tecnologia di altissimo livello e con un design accattivante può anche diventare un valore aggiunto. Nelle installazioni presso gli appartamenti, invece, è ancora molto in voga il desiderio di nascondere la tecnologia dentro mobili con meccanismi a scomparsa o nei controsoffitti».


Quali criticità emergono quando si fanno installazioni in edifici storici, tutelati dalle belle arti?

Prima di lasciare la parola ai system integrator su questo secondo tema, premettiamo che, da tutte le loro risposte, emerge innanzitutto un concetto chiaro: quando si parla di installazioni in edifici storici e tutelati, ‘tecnologia invisibile’ e ‘tecnologia non invasiva’ non sono affatto sinonimi, anzi sono spesso due esigenze in netta contrapposizione tra loro. Infatti, se posso far passare i cablaggi dentro i muri o sotto i pavimenti, se posso incassare gli speaker nelle pareti o un proiettore nel controsoffitto, se posso coprire una postazione multimediale con un muro in cartongesso, avrò gioco facile a nascondere la tecnologia, persino a farla sparire del tutto; ma in un edificio di fine Settecento non posso fare nessuna delle cose elencate sopra, perché opererei in modo invasivo sulla struttura. 


Oggi la maggior parte degli ambienti tutelati sono coperti da connettività 4G e 5G, il che rende possibile distribuire anche contenuti di altissima qualità senza bisogno di cavi – A. Modena


Alessandra Favella di Team Office dice: «Operare in un edificio storico per un System Integrator è un’esperienza stimolante e sfidante. In fase di progettazione dobbiamo spesso fare i conti con limitazioni strutturali che riducono la capacità di posizionare altoparlanti, schermi o altri componenti dell’impianto in determinate aree. Anche il banale passaggio dei cavi può rappresentare un ostacolo, lì dove per esempio sono presenti pavimenti di particolare prestigio o affreschi sulle pareti. Bisogna allora adottare soluzioni creative, come l’utilizzo di canalizzazioni esterne o connettività wireless».

Alessandro Modena di Opera Laboratori sottolinea come, nelle installazioni in ambito museale, un grande passo avanti rispetto al passato sia stato fatto grazie a due elementi principali: la connettività e il cloud. «Oggi la maggior parte degli ambienti storici e tutelati – dice – sono coperti da connettività 4G e 5G, il che rende possibile distribuire anche contenuti di altissima qualità (immagini in 4K, per esempio) senza bisogno di cavi. Inoltre, i contenuti non sono più on site, ma quasi sempre interamente caricati nel cloud. In questo modo siamo riusciti a realizzare installazioni nelle quali i contenuti sono gestiti da piccolissime interfacce video, che li distribuiscono in modalità wireless ai ledwall, ai monitor o ai proiettori presenti nelle sale. Fino a qualche anno fa – dice Alessandro –, per distribuire contenuti in mostre ad alto tasso di multimedialità dovevamo quasi implementare un CED all’interno del museo, ricavare un vano tecnico dove mettere armadi rack con i server per la distribuzione dei contenuti; oggi tutto questo non è più indispensabile».

Sia Bruno Maggi di On Off sia Gianluca Tufarolo di CWS, infine, sottolineano come spesso, in un ambiente sottoposto a vincoli storici e artistici, la chiave per un’integrazione efficace sia l’utilizzo di strutture autoportanti. Bruno Maggi dice: «Nei contesti tutelati la richiesta che ci viene fatta più spesso è quella di evitare speaker di qualunque genere e forma. Ma poiché per nascondere la tecnologia occorrerebbero interventi invasivi sulla struttura, la soluzione spesso è costruire strutture autoportanti che contengono e nascondano la tecnologia».

Gianluca Tufarolo porta l’esempio di un’integrazione fatta presso la reggia di Venaria a Torino: «Abbiamo lavorato alla Reggia in occasione della mostra dedicata al Bucintoro e, non potendo toccare né i pavimenti, né i muri né i soffitti, ci siamo affidati a sistemi completamente scollegati dal contesto (americane, contenitori dalle linee pulite), che erano tutt’altro che nascoste, ma, proprio perché avulse dal contesto, finivano paradossalmente per disturbare meno l’occhio». 


Quanto è importante la collaborazione tra system integrator e architetto?

Su questo tema la risposta degli integratori è unanime: una buona collaborazione tra architetto e system integrator è un requisito fondamentale per il successo di un progetto, soprattutto quando si opera su edifici tutelati. Il caso più fortunato è quando si trova un architetto che coinvolge l’integratore fin dalla fase progettuale, in modo da pianificare fin dall’inizio come e dove posizionare la tecnologia.

Sulla carta integratore e architetto sembrerebbero avere esigenze opposte: il primo pensiero di un system integrator (e spesso anche dell’utente finale) va alla user experience, mentre l’architetto ha come primo obiettivo la pulizia delle linee e il rispetto degli spazi storici e architettonici: se però i due professionisti lavorano insieme, possono trovare il giusto compromesso tra tecnologia invisibile e tecnologia performante. Citiamo a questo proposito un solo esempio, proposto da Gianluca Tufarolo: l’integratore provvede a incassare i diffusori a parete, creando alloggiamenti studiati in modo da garantire una performance acustica ottimale e l’architetto provvede a coprire questi diffusori con un materiale che simula la parete, ma in realtà è fatto di tulle traforato e non ostacola il passaggio delle onde sonore.


È importante considerare i materiali utilizzati per nascondere le tecnologie e le loro proprietà di riflessione del suono e della luce: materiali come il vetro, ad esempio, possono influire sulla dispersione del suono o sulla qualità dell’immagine – A. Favella


Quali sono i trend in atto?

Alessandra Favella di Team Office cita tra i trend in atto le integrazioni smart home, che permettono di gestire l’illuminazione, l’audio, il video e altri dispositivi domestici in modo intuitivo e integrato attraverso una singola piattaforma. Tale trend, dice, «è strettamente legato alla diffusione degli assistenti vocali, come Amazon Alexa, Google Assistant o Apple Siri, che consentono di interagire con le tecnologie invisibili utilizzando comandi vocali». Un altro trend citato da Alessandra Favella è l’uso crescente di materiali trasparenti o riflettenti, come vetri speciali o specchi a doppia funzione, che offrono una soluzione elegante per l’integrazione delle tecnologie invisibili, consentendo di nascondere i dispositivi quando non sono in uso e di renderli visibili solo quando necessario. Ancora Favella ci parla e dice che «è sempre più diffusa, in ambito hospitality, corporate o anche domestico, l’automazione abilitata dai sensori: sensori intelligenti possono rilevare la presenza di persone, la luce ambientale, il movimento o altri parametri per attivare automaticamente le tecnologie invisibili e adattarle alle esigenze degli utenti». 

Bruno Maggi di On Off si concentra prevalentemente sulla tecnologia audio e dice che le strade più promettenti per un impatto visivo sempre minore degli speaker e dei diffusori sono due: da un lato la produzione da parte dei vendor di dispositivi sempre più piccoli in relazione alla potenza che sanno sviluppare, dall’altro la nascita di trasduttori ed exciter sempre più performanti. «Esistono modelli che con un solo trasduttore possono far suonare un’intera parete di 10 metri quadri – commenta – Non si arriva alla pulizia e potenza dell’Hi-Fi, ma sicuramente il risultato è gradevole», con l’ulteriore vantaggio, sottolineato anche da Gianluca Tufarolo di CWS, dell’”effetto wow!” determinato dal fatto che l’utente non riesce a individuare il punto di emissione del suono.

Alessandro Modena di Opera Laboratori aggiunge a quelli già citati un tema che potrebbe diventare il trend del futuro, ovvero la sostenibilità: probabilmente si lavorerà su tecnologie che siano indipendenti dal punto di vista energetico, con l’obiettivo di una tecnologia non solo invisibile, ma anche a impatto zero.

Tutti e quattro gli integratori sono infine concordi nell’individuare nella crescente potenza e diffusione delle reti wireless la vera chiave di volta di tutte le integrazioni che puntano a minimizzare il proprio impatto fisico e visivo.


Quanto la scelta di rendere invisibile una tecnologia pesa sulla qualità della prestazione audio/video?

 Alessandra Favella di Team Office dice che «la scelta di rendere invisibile una tecnologia può comportare alcune sfide per la prestazione audio e video, ma con la giusta pianificazione e attenzione ai dettagli è possibile ottenere risultati eccellenti. Per esempio è importante il giusto posizionamento degli altoparlanti, che può essere influenzato dalla necessità di renderli invisibili: se gli altoparlanti sono nascosti all’interno delle pareti, dei soffitti o di altri elementi architettonici, potrebbe essere più difficile ottenere un’ottima dispersione del suono e un’immagine stereo ben definita; occorre valutare attentamente le opzioni di posizionamento e utilizzare tecnologie come altoparlanti direzionali o diffusori acustici appositamente progettati per integrarsi discretamente negli ambienti».


Il goal perfetto sarebbe combinare tecnologia nascosta e user experience perfetta, ma in realtà si tratta sempre di trovare un equilibrio ed è qui che emerge la bravura dell’integratore- G. Tufarolo


Per quanto riguarda la prestazione video, Alessandra sottolinea come l’utilizzo di schermi retrattili o nascosti possa comportare alcune compromissioni rispetto a schermi permanentemente esposti. Ad esempio, uno schermo retrattile potrebbe avere una superficie meno uniforme o essere soggetto a pieghe o rughe.  «È importante inoltre – dice – considerare i materiali utilizzati per nascondere le tecnologie e le loro proprietà di riflessione del suono e della luce: materiali come il vetro, ad esempio, possono influire sulla dispersione del suono o sulla qualità dell’immagine a causa delle loro caratteristiche di riflessione». 

Alessandro Modena, di Opera Laboratori, riferendosi alle installazioni in ambito museale, dice: «Fino qualche anno fa, avrei risposto che l’esigenza di nascondere la tecnologia influisce molto sulla performance audio e video, oggi invece le cose sono cambiate: siamo in grado di distribuire contenuti in 4K grazie al cloud e la connessione 5G, abbiamo ledwall sempre più prestazionali, videoproiettori di dimensioni ridottissime con ottiche e luminosità importanti, proiettori laser che durano molte più ore rispetto al passato. Ovviamente la tecnologia necessaria per combinare alta qualità e poca invasività ha dei costi notevoli, questo va messo in conto».

Gianluca Tufarolo di CWS sottolinea che «il goal perfetto sarebbe combinare tecnologia nascosta e user experience perfetta, ma in realtà si tratta sempre di trovare un equilibrio ed è qui che emerge la bravura dell’integratore». Bruno Maggi, scherzando (ma non troppo), conclude la propria intervista, e anche il nostro articolo, dicendo che «in qualche caso, quando la richiesta di tecnologia nascosta costringe ad aumentare troppo i costi e a fare troppe rinunce dal punto di vista della performance, il compito del system integrator può anche essere quello di far presente all’utente finale che mettere un diffusore a vista, scegliendo un modello con un buon design (abbattendo i costi e massimizzando la performance) non è necessariamente il male assoluto». ■


Alessandra Favella, Managing Director, Team Office srl
Bruno Maggi, CEO, On Off srl
Alessandro Modena, IT Manager, Opera Laboratori
Gianluca Tufarolo, Manager della divisione multimediale, CWS Digital Solutions

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