Nel corso degli eventi che ricadono sotto il cappello di ‘Rise Spotlight – Workspace evolution’, sono emerse riflessioni di grande interesse su come si sta evolvendo lo spazio di lavoro. Quali criticità si dovranno affrontare e quali soluzioni esistono e verranno sviluppate? Che tecnologie saranno utilizzate? Quale sarà il ruolo del system integrator?


▶ Come tappa di avvicinamento all’edizione del febbraio 2021 di ISE Digital, RISE ha organizzato una serie di interviste, confronti e tavole rotonde virtuali dedicate all’evoluzione degli spazi di lavoro. In questo articolo vi proponiamo alcune delle riflessioni più interessanti emerse dai diversi eventi che si sono svolti il 24 novembre 2020 e che sono stati riuniti sotto il titolo di Rise Spotlight – Workspace evolution.



Messo alla prova, lo smart working ha dimostrato di funzionare

Iniziamo con Rob Scott, giornalista di UC Today, il quale, nel suo contributo ‘The dawn of virtual communications’, spiega come l’improvvisa irruzione della pandemia da Covid-19 sia stata un acceleratore di fenomeni che erano già in atto. Il cloud, la videoconferenza, l’instant messaging, erano tutte realtà in costante crescita già prima della pandemia e, parallelamente a essi, cresceva anche la richiesta da parte di molti lavoratori di poter alternare il lavoro in ufficio al lavoro da remoto, così da poter meglio conciliare i tempi del lavoro con quelli della famiglia.

Per anni, tuttavia – dice Scott – molte aziende hanno guardato con timore a questo tipo di richieste, convinte che il lavoro da casa avrebbe ridotto la concentrazione (82%), la coesione (75%) e, soprattutto, la produttività (82%) dei propri dipendenti.

La pandemia è arrivata a spazzare via tali resistenze, dato che il lavoro da remoto era diventato improvvisamente l’unica forma di lavoro possibile. Messo alla prova dei fatti, lo smart working ha dato risultati sorprendenti in senso positivo: «Il 63% della forza lavoro globale – dice Scott – si sente più produttivo lavorando da casa, ed è stato stimato che i dipendenti hanno accumulato circa 28 ore al mese di straordinari, dall’inizio del lockdown, senza contare il fatto che molte persone ora dedicano più tempo al lavoro anche nel fine settimana».

La preoccupazione maggiore delle aziende rispetto al remote working, quindi, ovvero quella legata alla produttività, si è rivelata infondata, tanto che, dice Scott, «oggi non solo piccole e agili compagnie, ma anche società grandi e strutturate come Facebook, Adobe, Amazon, sono intenzionate a non imporre ai propri dipendenti il ritorno in ufficio anche quando la situazione sanitaria dovesse permetterlo».



La mancanza del contatto diretto

La produttività però non è tutto, e restano molti aspetti della vita lavorativa rispetto ai quali il lavoro da remoto non riesce ancora a competere con quello in ufficio: ciò che manca è soprattutto l’interazione con i colleghi, sia dal punto di vista del benessere personale sia dal punto di vista dello scambio di idee e informazioni; a ciò aggiungiamo il fatto che spesso l’ambiente domestico non offre spazi pensati appositamente per il lavoro.

La sfida lanciata alle società che si occupano di audio-video e di comunicazione integrata è allora proprio quella di massimizzare i vantaggi e ridurre gli svantaggi del lavoro da remoto, fornendo sia alle aziende sia ai lavoratori la tecnologia necessaria a compensare la mancanza del contatto diretto tra le persone.


Uno spazio per nuovi profitti

Sean Wargo, Senior Director of Market Intelligence presso AVIXA, nel suo intervento intitolato ‘Conferencing and collaboration bounces back’, aggiunge sullo stesso tema un’interessante considerazione di tipo economico. «Gli effetti della pandemia – dice Wargo – hanno determinato una perdita di ricavi per le società di audio e video in riferimento al settore della collaborazione e delle conferenze (dai 38.9 miliardi di dollari di ricavo nel 2019 ai 38 miliardi del 2020)». I ricavi dovrebbero tornare a salire a partire dal 2021, ma, nota Wargo, nei prossimi anni dobbiamo aspettarci una crescita degli investimenti in servizi basati sul cloud e sui software per la collaborazione a distanza, mentre la spesa per gli impianti audio e video delle grandi sale conferenze è destinata a diminuire.



Ambienti domestici performanti

Dan McGowan, Public Relations Specialist di CEDIA, nel suo intervento ‘Will they stay or will they go? Post-pandemic elements that could be beneficial for your business’ mette in luce come nel futuro prossimo è prevista una crescita della richiesta di system integrator in grado di creare ambienti domestici performanti per lo smart working. Si parte da una connessione adeguata, naturalmente: “le persone che lavorano da casa – specialmente se nel frattempo anche i figli fanno home schooling – stanno scoprendo che la connessione contemporanea di diversi dispositivi, da diversi angoli dell’abitazione, mette in difficoltà sistemi wi-fi progettati per utilizzi meno intensivi”.

Ma avere una connessione potente e affidabile ovviamente non basta: McGowald cita l’opinione di Peter Aylett, esperto di tecnologia domestica, secondo il quale, in un’epoca di conferenze su Zoom, diventa sempre più importante anche avere ambienti idonei dal punto di vista dell’acustica e della luce. Servono ambienti che evitino fastidiosi riverberi della voce e che, grazie a un adeguato isolamento, ci permettano di partecipare, per esempio, a una riunione serale senza disturbare gli altri membri della famiglia; dal punto di vista dell’illuminazione, invece, occorrono soluzioni che mostrino il viso adeguatamente in luce e senza ombre fastidiose sotto gli occhi. Tutte esigenze che in precedenza potevano sembrare indice di eccessivo perfezionismo, ma che, in un mondo sempre più basato sugli incontri da remoto, sono destinate a diventare normali.

Ci sono poi i temi, altrettanto centrali, dell’affidabilità e della sicurezza: il remote working ha messo l’affidabilità delle macchine (evitare i crash di sistema e garantire un sistema sicuro di backup) e la sicurezza (privacy, cybersecurity) in cima alla lista delle priorità, sia per l’home worker sia per l’azienda. Si apre, secondo McGowan, un intero mercato per società che potrebbero diventare, per le aziende, una sorta di dipartimento IT distaccato, dedicato a creare ambienti di lavoro idonei presso le abitazioni degli smart workers (servizi che, dice McGowan, potrebbero essere pagati non dal dipendente, bensì dall’azienda per cui egli lavora).


Ricreare la vicinanza 

Può sembrare una battaglia persa quella di cercare ricreare, per i remote worker, quel senso di appartenenza, spirito di squadra, vicinanza che si genera dagli incontri casuali tra colleghi nei corridoi, dalle pause caffè condivise. Può sembrare un obiettivo irrealistico quello di ricreare a distanza quel clima ludico e informale (per esempio la partita a biliardino tra colleghi nelle pause ricreative, previste e incoraggiate da molte grandi aziende) che contribuisce sia al benessere personale sia, a volte, all’individuazione di soluzioni lavorative impreviste (serendipity). 

Eppure c’è chi ci sta lavorando.

Durante la sessione di Rise-spotlight chiamata ‘Startup nation’, accanto a startup più tradizionalmente legate al team working (per esempio Miro, che facilita il brainstorming con lavagne condivise e altri strumenti di collaborazione), ne sono state presentate alcune decisamente meno convenzionali, come Teemyco, un ‘ufficio virtuale’ che permette ai colleghi, ciascuno dalla propria casa, non solo di incontrarsi in meeting e conversazioni, ma anche di prendere un caffè insieme in una ‘stanza’ dedicata e di sfidarsi in giochi online, o come Atium, applicazione studiata appositamente per facilitare il team building e dare il via a conversazioni su diversi argomenti.

Andando ancora oltre, Rob Scott (The dawn of virtual communications) spiega come alcune compagnie stiano già investendo in grandi schermi che permettano a chi si trova in ufficio di vedere i colleghi che lavorano da casa come se si trovassero al di là di una finestra.

Quest’ultimo esempio ci conduce al prossimo argomento: si sta infatti affermando un nuovo modo di concepire l’ufficio.


Il nuovo ufficio e il video al centro di tutto

Ancora Rob Scott: «Sappiamo che un pieno ritorno all’ufficio inteso in senso tradizionale è qualcosa di molto improbabile. Anche le compagnie che hanno già chiesto ad alcuni dei propri dipendenti di rientrare in sede, non lo chiederanno a tutti. Avremo, invece, ambienti di lavoro ibridi, con poche persone presenti fisicamente e altre presenti in modo virtuale». 

Scott cita i dati di Futuresource, secondo i quali il 20% del budget speso dalle compagnie per attrezzare le sale riunioni erano destinati alle tecnologie di collaborazione e al lavoro da remoto già prima del Covid-19. «L’investimento in quel settore è destinato a crescere. Le società dovranno spendere più soldi per riunire i propri team in spazi che siano sia digitali sia fisici». Dobbiamo dimenticare, dice Scott, le grandi sale riunioni piene di persone: ci saranno spazi più piccoli, dotati della tecnologia necessaria a collaborare con colleghi che partecipano ai meeting da remoto (lavagne digitali, software in grado di programmare e gestire riunioni). 

Sarà fondamentale da questo punto di vista la qualità del video, dato che l’87% dei lavoratori sostiene che solo una videoconferenza di alta qualità è in grado di sopperire alla mancanza del contatto diretto tra le persone: concetto che Scott riassume dicendo che ‘il video è la nuova voce’. Scott concorda con McGowan sia sul fatto che il settore delle videoconferenze rappresenterà nel futuro prossimo il principale ambito di crescita per le società che si occupano di integrazione audio e video, sia sulla considerazione che tali tecnologie non saranno implementate solo presso le sale riunioni delle aziende, ma anche nelle case stesse di chi lavora da remoto. 

«Le smart webcam per chi lavora da casa stanno ottenendo un’attenzione sempre maggiore ed è facile immaginare da qui a pochi anni lo sviluppo di miniature room kits pensati per creare l’ambiente di lavoro ideale nelle case delle persone». 

Sarà anche (perché no?) una questione di moda e di status: «Proprio come oggi i lavoratori puntano ad avere il miglior business smartphone sul mercato, possiamo aspettarci che nei prossimi anni cercheranno di procurarsi la migliore attrezzatura per il remote meeting. Possedere la miglior webcam o il miglior sistema audio per videoconferenze – dice Scott – potrebbe a breve diventare uno status symbol, proprio come oggi lo è avere l’ultimo modello di i-phone o Android phone».


Scenari futuri

Da un lato la possibilità del remote working si sta progressivamente affermando non più e non solo come risposta all’emergenza pandemica, bensì come libera scelta delle imprese e dei lavoratori, dall’altro questa scelta (che si è dimostrata efficace sia in termini di produttività sia per la conciliazione dei tempi vita-lavoro) ha un prezzo da pagare: la rinuncia alla ricchezza che solo la compresenza fisica delle persone in uno stesso ambiente può dare.

È proprio qui che si apre uno spazio interessante per il lavoro dei system integrator e dei produttori di tecnologie audio e video, cui spetta il compito di minimizzare questo svantaggio, offrendo la tecnologia (audio, video, connettività, software per la collaborazione a distanza eccetera) necessaria a simulare tale presenza in ambienti virtuali.

Per il futuro, conclude Scott, dobbiamo inoltre aspettarci un ulteriore scatto in avanti della tecnologia, che porterà forse i visori per realtà virtuale a sostituire i telefoni e che potrebbe vedere le imprese più all’avanguardia dotarsi di sale riunioni con ologrammi e realtà aumentata. ■