Comunicare al mercato la propria distintività è indispensabile per farci riconoscere e scegliere. Bisogna essere capaci di sviluppare e comunicare un marchio forte. A partire dal nostro… Personal Brand.
Il Personal Branding suggerisce di considerare se stessi come un prodotto, identificato dal proprio brand. Spesso è quello che accade anche nei fatti, quando magari il nostro negozio, la nostra attività ha come ‘brand’ proprio il cognome di famiglia, o il nostro perché ne siamo stati i fondatori.
Un tema di attualità
Quello del Personal Branding è un tema particolarmente moderno perché il marketing è ormai diffuso e conosciuto nelle sue applicazioni nei campi più disparati e perché il concetto di personalità, meglio di individualità, è diventato sempre più la lente di ingrandimento di molti fenomeni sociali. Sociali come i social media, appunto, che, proprio nell’individualità e nella personalizzazione all’interno della comunità, trovano la loro forza di affermazione e successo.
Personal Branding e Social Media
Il Personal Branding proprio nel mondo dei social media ha trovato terreno fertile per fiorire e guidare una rivisitazione di concetti classici del marketing, applicandoli a se stessi: siamo noi il “prodotto”, con l’obiettivo di esprimere i valori e raggiungere i risultati proprio attraverso gli strumenti che il marketing ci mette a disposizione. Farci riconoscere dal pubblico (di clienti, di fornitori, di colleghi), evidenziando le nostre capacità e distintività nel rispondere ai loro bisogni e aspettative. Insomma, farci riconoscere nella nostra abilità di fare business nel nostro campo. Sono tutte le leve che entrano in campo (alcune le abbiamo già trattate in queste pagine): il posizionamento, il valore del marchio, la comunicazione, persino quelle della diversificazione. Il tutto calato su di noi, appunto. Per costruire il nostro personale, unico (ciascuno di noi è unico) piano di marketing. Senza dimenticare che, come ogni prodotto, anche noi siamo sottoposti al ‘ciclo di vita’: lancio, crescita, maturità, fino al declino. Ossia, fino a quando, per le condizioni mutate del contesto e la nostra immobilità (di formazione, di aggiornamento – per esempio – nell’utilizzo di nuove tecnologie), non siamo più appetibili per il mercato. I clienti non riconoscono più valore nel contributo che possiamo loro fornire.
Il marchio personale
Come
quello di un prodotto di successo, anche l’individuo deve essere capace
di costruire un marchio forte: riconosciuto, differenziato e distintivo,
comunicato. La distintività viene data dalle competenze sviluppate,
anche dalle esperienze, dalle motivazioni, ma non ha valore se non è
opportunamente comunicata agli interlocutori che ci interessano, perché
clienti o perché referenti dei nostri clienti. O anche nostri
concorrenti.
Se le leve del Personal Branding sono quelle classiche, infatti,
dovremo considerare tutti gli elementi rilevanti del contesto
competitivo, come – appunto – i concorrenti: coloro che mirano ad avere,
cioè, il nostro stesso posizionamento (di valori, competenze,
capacità). Il confronto con i concorrenti sarà vitale proprio per
‘fiutare’ la rilevanza del mercato a cui abbiamo deciso di rivolgerci
(siamo pioneri perché è innovativo? siamo in tanti perché il mercato è
saturo, ormai in declino?), fornendoci preziose indicazioni su come
agire e – soprattutto – su come differenziarci coerentemente e
opportunamente.
Ciascuno nelle proprie: le relazioni che si instaurano
Possono essere sviluppate in ambienti reali e anche virtuali. Proprio dall’enorme sviluppo della rete e dei social media, l’abbiamo già evidenziato, il Personal Branding ha trovato un’enorme spinta alla sua affermazione. La rete ha moltiplicato in maniera esponenziale tutti gli elementi di scenario descritti: i clienti, i concorrenti, i mercati. Pensiamo a un giovane laureato: ieri avrebbe inviato il cv, oggi lo allega a una mail, meglio lo copia su una delle tante bacheche virtuali. Ha un obiettivo prioritario: riuscire a differenziarsi, comunicando appropriatamente le proprie distintività, emergendo tra la moltitudine di altri cv che lo stesso selezionatore si troverà a visionare. Se non emerge, se non si rende visibile e memorabile, non riuscirà a raggiungere il suo scopo, quello dell’opportunità di lavoro. Oppure immaginiamo un integratore che si pone l’obiettivo di entrare in contatto con una comunità di architetti. Oltre che a differenziarsi dovrà comunicare la propria distintività attraverso un linguaggio comprensibile ed efficace, adeguato a questa categoria di professionisti. Se avrà raggiunto il suo obiettivo sarà percepito e considerato come un brand di successo.
Una disciplina per il professionista
Il
Personal Branding, dunque, con i suoi autori, corsi, libri e
letteratura dedicata, è diventata disciplina che ha come destinatario
prioritario il professionista, l’imprenditore autonomo, l’artigiano, il
consulente di servizi: tutti coloro i quali vogliano (devono!) emergere
nella piazza virtuale e – quindi – in quella reale per realizzare i
propri obiettivi, prioritariamente di successo nel proprio business.
Guida alla valorizzazione delle proprie competenze e capacità per
rispondere meglio a un contesto – di mercato, anche inteso in termini di
mercato del lavoro – dove è sempre più competitivo emergere e dove, in
ogni caso, non sono più efficacemente adottabili gli strumenti del
(recente, peraltro) passato.
Abbiamo citato l’esempio del ragazzo, per il quale una volta – ora
non più – era già ‘sufficiente’ redigere un chiaro curriculum, secondo
standard e prassi consolidate, per mettersi in luce e farsi trovare
dalle aziende, disposte ad assumerlo. Guardiamo anche esempi più vicini a
noi.
Per un installatore di una piccola città, o di un quartiere di una
città più grande, era sufficiente in fondo avere il proprio nome
sull’elenco telefonico, sotto la voce della propria categoria.
Altrettanto per un medico, uno specialista a cui, tutto sommato, il
passa parola dei suoi paziente era sufficiente a garantire non solo il
mantenimento del parco–clienti (ops…pazienti!) ma anche ad assicurarne
la crescita.
Ora tutto cambia. Ne siamo testimoni ciascuno nel proprio settore:
dal piccolo al grande, dalla multinazionale alla piccola azienda locale,
del professionista al free-lance, assistiamo a un’intensa e dinamica
ridefinizione delle regole, dei sistemi. Accade a chiunque operi
‘commercialmente’. Nessuno escluso.
Dedicheremo questo spazio a cercare suggerimenti che possano esserci
in qualche modo utile, per fare riflessioni, osservazioni, magari
scelte diverse.
Di cosa si tratta
Il
primo messaggio sta proprio nella definizione di questa disciplina.
Come abbiamo detto il Personal Branding suggerisce di considerare se
stessi come un prodotto, identificato da un brand.
La prima riflessione che ne scaturisce (come si fa con un brand) è
dunque cosa ci caratterizza, cosa ci distingue, cosa offriamo. Abbiamo
già parlato, in queste pagine, del concetto di posizionamento: cosa
offriamo con successo (cioè capace di conquistare i clienti e per i
quali i clienti investono in noi, pagando per il nostro lavoro), in
maniera distintiva e peculiare? Il tema del Personal Branding ci spinge
oltre.
Quanto siamo coerenti, noi come individui e professionisti, con le
promesse di posizionamento fatte dalla nostra azienda? Nei settori come
il nostro, la coerenza del servizio attuato dalla persona è determinante
almeno quanto il valore del prodotto che installiamo. L’impressione di
competenza e qualità professionale nasce già dalla stretta di mano che
diamo al cliente. Da quel momento si creano le condizioni necessarie per
valorizzare la qualità del prodotto, i benefici annessi, il servizio
post vendita.
Il posizionamento, la promessa dichiarata dalla nostra azienda deve
trovare il primo artefice in noi che ‘eseguiamo’ quella promessa.
Ciascuno nel proprio ruolo. Chiedendoci quali sono le mansioni, i
compiti, le competenze, correlate e necessarie.
Come sottolineano Luigi Centenaro e Tommaso Sorchiotti nel loro
libro Personal Branding. L’arte di promuovere e vendere se stessi on
line- Hoepli: “il Personal Branding è inevitabile. … Comunque vada,
le persone ti identificheranno attraverso una definizione, utilizzando
uno o più schemi propri”.
Le cose sembrano complicarsi: da una parte il posizionamento (le
caratteristiche determinanti e distintive) dell’azienda, della nostra
offerta commerciale, dall’altra gli schemi propri con cui i clienti ci
classificano. Noi al centro. Dunque, come se ne esce? Con pazienza, dirà
qualcuno… Certo, ma da sola non basta.
Il primo passo sta in un’attenta analisi e comparazione del
posizionamento dell’offerta commerciale e dei servizi che si propongono
con il nostro marchio personale, per poter meglio conoscere e sviluppare
le aree di identificazione e convergenza. Attraverso quali attività,
mansioni, competenze riesco a essere ‘portavoce’ credibile della
promessa del servizio che rappresento?
Questo ci permetterà di valorizzare al meglio le nostre qualità,
evidenziate e conosciute nel nostro Personal Branding. Saremo quindi in
grado di lavorare con convinzione e coerenza.
Fondamentale sarà quindi la capacità di comunicare adeguatamente al
nostro interlocutore, secondo gli obiettivi che ci siamo posti. Il
successo della nostra comunicazione – cioè di dare performance coerente
tra promessa del marchio, il nostro Personal Brand e le attese del
cliente – ci consentirà di ottenere un altro risultato importante:
quello della familiarità.
Tanto più siamo familiari nel relazionarci con l’altro, tanto più sarà facile entrare in empatia.
Da sempre gli psicologici, cosi come i sociologi, ci ricordano che
il linguaggio avvicina e lega le persone. Pensiamo alle difficoltà che
si incontrano magari all’estero, quando alla pur buona conoscenza di
regole grammaticali dell’altro idioma, manca la conoscenza dei modi di
dire tipici, che appartengo specificatamente a quel luogo, a quella data
comunità. Non sono i guru formatori della capacità di vendita, che ci
dicono che uno dei primi passi per entrare in empatia con un cliente è
proprio avvicinarlo sul terreno linguistico?
Non certo per ripetere pedissequamente le parole dell’altro (‘a
pappagallo’, avrebbe detto la maestra di altri tempi, sentendoci
ripetere testualmente un brano quasi a memoria), quanto per avvicinarci
al suo modo di parlare e mostrargli la nostra disponibilità e volontà a
entrare in contatto. Sembra un paradosso. È lo stesso che più volte
abbiamo citato in questo spazio… Come si fa a comunicare così senza
stravolgere la propria identità? Con l’ascolto! Prestando ascolto
all’altro avremo la chiave per tradurre la distintività che ci
caratterizza in maniera a lui familiare, mettendolo facilmente in
condizione di coglierne non solo il significato quanto l’aspetto di
coerenza con le proprie necessità ed esigenze.
E più saremo familiari, non ostici, più sarà facile per lui
ricordarsi della nostra capacità di coerenza e professionalità.
Risulteremo, dunque, memorabili… wow!
Sempre Luigi Centenaro e Tommaso Sorchiotti, riassumono
compiutamente che “Il tuo Personal Brand può essere inteso come un mix
di reputazione, comunicazione, capacità di rendersi visibili, portare
risultati e soprattutto creare relazioni”. Ne parleremo ancora!
Case Histories e Show Room
Se
siamo conosciuti (e cercati) per l’alto tasso d’innovazione dei
prodotti, se siamo quelli che propongono sempre l’ultima novità oppure
la soluzione più innovativa o, ancora, la soluzione più affidabile
perché è prioritario che tutto sia stabile e funzioni davvero sempre,
come posso supportare la credibilità di questa promessa? La capacità di
emozionare, efficace nei mercati tecnologicamente molto avanzati, è
certamente una leva proficua per comunicare al meglio i vantaggi di un
impianto installato. Sebbene il mercato abbia sempre vissuto, e lo fa
tutt’ora, facendo leva anche sul fattore prezzo, non è certamente questo
l’aspetto prioritario sul quale deve puntare un integratore. La
capacità di emozionare la si può sviluppare ed esprimere, ad esempio,
attraverso due strumenti come il book di Case Histories (metodo più
economico) e la Show Room. Per quest’ultima, l’investimento richiesto è
oneroso ma, se è ben progettata, rappresenta il conteso ideale per
emozionare i propri potenziali clienti. Soprattutto nel dialogo con gli
architetti e i progettisti edili, questi strumenti sono determinanti per
dare efficacia alla propria presentazione. Nel nostro paese non è
ancora diffusa l’abitudine di dare visibilità, attraverso la
pubblicazione di Case Histories, a importanti installazioni per
evidenziare i numerosi importanti aspetti derivati dall’uso di
tecnologia avanzata. Queste attività certamente contribuirebbero a fare
cultura e rendere più appetibile l’interesse verso il mercato dell’Audio
Video.
Come e quanto sono coerente nell’utilizzare questi strumenti già a partire dal mio Personal Branding?
Si ringrazia per il contributo
Alessandra Tacconelli
consulente marketing e comunicazione
atacconelli@hotmail.com