Proiezioni in edge blending sul pavimento e su steli sospesi, per rappresentare il nuovo volto dell’artigianato contemporaneo. La mostra New Craft fa risaltare il ruolo scenografico e non invasivo della tecnologia con 11 proiettori Canon XEED.
Volume: SIAV_04_16 – Pagine: da 68 a 73
Chi è il nuovo artigiano, colui che dovrebbe incarnare il nuovo ideale del sapere manifatturiero nell’era definita da molti come l’epoca della fine del lavoro? Qual è il posto che spetta al sapere artigiano nel dominio della tecnologia globale? Una riflessione che ha generato un dialogo tradotto in una mostra, New Craft, allestita in occasione della XXI Esposizione Internazionale della Triennale di Milano e aperta al pubblico dal 2 aprile fino al 12 settembre 2016. Un progetto sviluppato grazie all’applicazione di un’integrazione tecnologica non invasiva, capace di dar luogo a un allestimento emozionante e coinvolgente . Realizzata con undici proiettori Canon XEED, di cui sei WUX6010 e cinque WUX450, la mostra è riuscita a cogliere l’obiettivo e l’aspettativa degli ideatori, espressa nella ricerca di un effetto in grado di stupire pur mantenendo un impianto di videoproiezione invisibile e di sottofondo all’esposizione.
Una mostra ‘per pensare’ e ‘per fare’
Siamo partiti da un’idea, dalla richiesta di dare un volto a un processo di creazione, renderlo vivido tramite la rappresentazione di un gesto architettonico preciso, per presentare qualcosa di tangibile».
Le parole di Stefania Anzil, architetto dello studio GEZA e responsabile del team di progettazione dell’allestimento della mostra New Craft, introducono bene quale sia stato l’intento embrionale del progetto: proporre una mostra in cui le nuove tecniche andassero a comporre un racconto narrativo, intrecciandosi con le realtà artigianali – tipicamente rappresentative del panorama economico italiano.
Parlare della nuova tecnologia adoperando la tecnologia stessa. «In fondo si è trattato di creare una mostra che spronasse i visitatori a riflettere realmente sulle nuove tendenze prese dalle nuove tecnologie. L’intenzione proposta da Stefano Micelli – curatore della mostra New Craft – è stata proprio questa: considerare e animare un dibattito critico sulle nuove esperienze del mondo del lavoro artigiano».
Ambientando l’esperienza all’interno di una ‘fabbrica’, concedendo spazio a quegli elementi tipici della realtà industriale, gli attori della mostra sono proprio gli artigiani, considerati nel loro insieme più ampio e disomogeneo. Merito di un’accurata disposizione di videoproiezioni che raffigurano e fanno ‘parlare’ i protagonisti del mondo artigiano, il visitatore viene avvolto in un percorso dove racconti, immagini e oggetti interagiscono tra loro, garantendo un coinvolgimento di notevole impatto emotivo.
Dalla bicicletta al legno, dalla pietra alla moda e alla gastronomia, New Craft, nelle parole stesse di Stefania Anzil, vuole essere «una sorta di fucina in cui le menti lavorano, si confrontano, entrano in contatto e riflettono sulle nuove tecnologie, per plasmare e agire la tecnologia e non banalmente per subirla passivamente». Riuscire a padroneggiare e a gestire una nuova Rivoluzione Industriale, per dare un cosciente slancio a nuove idee e pratiche, mirando appunto a un New Craft: la mostra permette dunque di prendere in esame le opera e i nuovi strumenti tipici del digital manufacturing, per capire la loro integrazione con le abilità degli uomini.
Teatralità e buio: un gioco di proiezioni
Nella composizione artistica e scenica di New Craft, elemento di rilievo è stato ricoperto dalla composizione e disposizione dei videoproiettori e di tutta la tecnologia a essa connessa. Dice Stefania Anzil, «l’idea che ci ha sempre guidati, nella progettazione e nella realizzazione – a fianco ai tecnici di Volume, il system integrator che ha elaborato il progetto tecnologico – è stata quella di dare alla mostra una suggestione teatralizzante, grazie all’equilibrato utilizzo della luce e del buio. Tutto questo è stato realizzato con un’accurata disposizione delle fonti luminose, videoproiettori compresi. I prodotti Canon hanno garantito la qualità necessaria per la buona resa del progetto, e alla felice integrazione che si è riuscita a costruire con il lato creativo della mostra stessa».
La Cattedrale – nome suggestivo col quale è identificato il grande edificio centrale della Fabbrica del Vapore – ha così riacquisito una sorta di sacralità maestosa. Creando il buio con appositi tendaggi e tramite proiezioni orientate verticalmente e orizzontalmente che evidenziano determinate installazioni mettendone in risalto dettagli nascosti, si è venuta a enfatizzare un’oscurità che richiama l’immagine di un teatro.
«Vivere lo spazio buio, in un atto meditativo e contemplativo – prosegue Stefania Anzil – quasi che esso ci costringa alla concentrazione, alla rispettosa indagine proprio per far luce sui particolari, per fare chiarezza, laddove è buio, incerto, ancora da costruire, in fieri».
Naturalmente il buio evoca il gioco teatrale, quella catarsi tipica dello spettatore/attore che calca la scena e che viene coinvolto, dall’essere visitatore passivo a protagonista attivo, in un vivace contesto di luci e ombre. Così la tecnologia aiuta a dare significato e sostanza al pensiero che si è voluto porre in risalto, grazie a una solida costruzione architetturale.
Il contesto teatrale di New Craft, è stato rafforzato dalla modellazione in edge blending sul pavimento grezzo. Illuminando in maniera opportuna le installazioni e trasmettendo un’idea di luminosa fluidità all’intero ambiente, le videoproiezioni tracciano una sorta di sentiero che indirizza verso un centro – nella direzione dove è stato collocato un grande tavolo centrale a forma di X.
Dice Stefania Anzil, «con Cristina Barbiani – curatrice delle videoproiezioni multimediali – e grazie all’uso dei proiettori siamo stati in grado di realizzare un mapping che desse l’idea di un movimento alternato di avvicinamento e allontanamento dal fulcro centrale. Realizzando un ritaglio costruito con giuste immagini, abbiamo scelto di lasciare libero il tavolo a X dalle videoproiezioni, creando un’idea di movimento sinuoso e di continua ricerca di un centro, di un luogo stabile». Giochi di luce e fantasie colorate che alimentano un’atmosfera dai risvolti magici e intriganti.
Costruire una fabbrica digitale l’allestimento tecnico
Uno dei fattori che hanno sicuramente dato a New Craft un notevole successo e interessamento da parte del pubblico, risiede nell’abilità con cui sono stati fatti coesistere e presentati eccellenze della manifattura e della tecnologia di nuova generazione. Considerando più nel dettaglio l’integrazione scenica di queste componenti tecniche, Maurizio Arena – responsabile dei progetti video di Volume, la società che ha realizzato l’allestimento tecnico – ha puntualizzato come fondamentale sia stata la scelta fatta sui videoproiettori, finalizzata a garantire l’ottima resa della mostra nel suo insieme.
«Per comporre l’intera struttura abbiamo scelto i videoproiettori Canon XEED. La scelta di Canon è stata motivata dal fatto che la tecnologia LCOS ha una marcia in più, anche in termini di fedeltà cromatica: le ottiche sono luminose e precise, anche ai bordi dell’immagine, non sono presenti aberrazioni geometriche; un aspetto che diventa ancora più evidente quando le superfici sono estese. Il pannello LCOS, che si distingue per la tecnologia LCD riflessiva, evita il cosiddetto effetto zanzariera. I proiettori XEED di Canon generano in questo modo immagini dettagliate ma, allo stesso tempo omogenee e morbide; anche quando ci si avvicina molto allo schermo non si percepisce il reticolo dei pixel, e il comfort visivo è decisamente superiore. Infine, si riesce ad avere una luminosità costante e ben distribuita su tutto lo schermo. Questi risultati sono confermati anche utilizzando ottiche molto spinte sulle focali da grandangolo. In questo caso la resa sui totem è stata significativa, una vera prova del nove della qualità Canon».
Undici videoproiettori
Per distribuire nel modo ottimale le proiezioni sono stati installati undici proiettori suddivisi in due modelli: sei XEED WUX450 sono posizionati in verticale, ancorati a un’altezza di circa 5,5 metri e proiettano sul pavimento, cinque XEED WUX6010, invece, in posizione standard orizzontale indirizzano le immagini sui totem sospesi. Per quanto riguarda la gestione dei contenuti, i proiettori WUX450 da 4500 lumen sono coordinati dal software Watchout per proiettare anche in modalità mapping, attraverso sistemi di mascheratura indirizzati su specifici oggetti; con questi sei videoproiettori si è dovuto coprire una superficie molto vasta, di oltre 320 metri quadrati (circa 18×18 metri). I cinque proiettori XEED WUX6010 da 6mila lumen, invece, sono montati a soffitto e sfruttano le funzioni di correzione geometrica per ristabilire la giusta proporzione delle immagini visualizzate sui totem da 1,4 x 8 metri, sospesi. I contenuti provengono da player BrighSign, collegati in HDMI, che riproducono i file memorizzati su SD Card.
«Abbiamo raggiunto questo obiettivo – conclude Maurizio Arena – configurando per la superficie orizzontale una multiproiezione in edge blending, formata da sei diversi proiettori. I player sono collegati ai proiettori attraverso un cavo Cat5e, sfruttando gli extender DVI; le tratte di cablaggio sono rilevanti e non era possibile applicare un’alternativa agli extender. Tutto il sistema è stato concepito per avviarsi automaticamente all’inizio della giornata e spegnersi la sera, alla chiusura della mostra. Anche la riproduzione dei contenuti avviene secondo una timeline predefinita. Il controllo remoto del sistema è stato previsto per la proiezione a pavimento, via server con Watchout: abbiamo fatto molta attenzione a dove posizionare il server, per averlo a disposizione in un locale tecnico, un luogo facilmente accessibile così da gestire tutte le attività di manutenzione rapidamente, senza dover interrompere il servizio. In una mostra di questo tipo è determinante garantire questi valori aggiunti».
Una struttura interattiva: workshop e multilab
Per dare forza e concretezza visiva a una tale installazione, per prima cosa è stato fondamentale la scelta del luogo.
«Per parlare di lavoro – commenta Stefania Anzil – la Fabbrica del Vapore è sicuramente un luogo più che adatto e capace di raccontare da sé. In un certo senso possiamo dire che il luogo stesso è parte della mostra stessa». È stato necessario poi fare ordine nella vastità di tematiche presenti nella mostra, all’innumerevole materiale a disposizione.
«Per organizzare i tanti settori coinvolti nella mostra – biciclette, stampa letterpress, gioielli, vestiti, mobili, protesi, acciaio e legno – abbiamo deciso, come prima cosa, di sfruttare il grande spazio centrale che la Fabbrica del Vapore mette a disposizione. Nell’ampio vano centrale sono state collocate 9 installazioni verticali, predisposte per raccontare per mezzo di videoproiezioni alcuni temi salienti dell’unione fra design, arte e saperi della tradizione. Accanto ad esse, esattamente al centro, trova collocazione un grande tavolo a X, definibile come una sorta di chiave di volta dell’intera mostra. In questo tavolo infatti abbiamo cercato d’individuare un luogo simbolico di incontro, metafora di quel che si può chiamare un banco di lavoro dove comincia e si irradia il confronto e la creazione. Un ponte che interseca molteplici punti di vista e che genera al contempo idee innovative».
Su questo tavolo si parla, si crea con l’immaginazione e il confronto: esso rappresenta quell’incontro virtuoso fra saper fare artigiano, innovazione tecnologica e cultura del progetto. Intorno a questo scenario centrale, di forte impatto scenico, l’ambiente si completa con due navate laterali. Queste, a differenza del vano centrale, sono state predisposte per contenere la parte più ‘interattiva’ della mostra. In questi vani sono stati collocati una varietà di cubi neri di diverse dimensioni, i quali ospitano una grande varietà di oggetti di diverse eccellenze dell’artigianato – tutto sempre all’interno di un’ottica di novità tecnologica e creativa. Ogni artigiano può collocare qui le proprie opere e gli strumenti del proprio mestiere. La dimensione che si respira in questa zona della mostra è quella di un vero e proprio multilab, in cui gli ospiti sono chiamati a cimentarsi in prima persona, interagendo direttamente con la materia per darle forma. Non solo prodotti, ma anche processi: a fianco di oggetti e istallazioni prende qui forma un laboratorio capace di dare vita a manufatti straordinari. Emerge così una cultura del progetto che si innesta sul potenziale di flessibilità e di personalizzazione tipico della manifattura digitale. Dalle parole ai fatti, New Craft realizza quello spirito di unione tra teoria e pratica, proponendo workshop e laboratori in cui si può arrivare a toccare con mano come la tecnologia influenzi e sia influenzata dal pensiero artigiano. Tante realtà tenute insieme da una linearità, semplice e armonica. Un’annotazione interessante, nel contesto generale di strutturazione della mostra va fatta, considerando la risposta percepita dai visitatori.
«Abbiamo presto notato – conclude Stefania Anzil – di come la mostra, nonostante abbia come fulcro centrale la proposizione di un unico grande messaggio, sia stata letta e apprezzata positivamente da persone con età e anagrafiche molto differenti. In base alle diverse età, i visitatori hanno avuto reazioni diverse, hanno apprezzato maggiormente determinati stand: La mostra in tal senso non ha escluso nessuno, dimostrando un grande coinvolgimento comunicativo nella proposta di situazioni trasversali adatte a tutti, dai più piccoli ai più adulti».
Il sapere artigiano in video mapping
“Fin dall’inizio l’idea di Stefano Micelli era creare una vera e propria messa in scena più che un allestimento statico – commenta l’Architetto Cristina Barbiani. La teatralità di questa mostra è stata raggiunta anche nella costruzione del concetto che c’è dietro a tutte le videoproiezioni multimediali: loro dovevano costruire quel ‘racconto’ dei processi e delle trasformazioni del mestiere artigiano oggi, grazie alle nuove tecnologie. La grande proiezione a pavimento è stata composta con l’idea di rappresentare la costellazione di collegamento in continuo mutamento delle diverse componenti del fare artigiano. Sulla superficie del grande tavolo a X sono state mappate delle sequenze video: sono le mani degli artigiani, la materia grezza che si trasforma, il lavorio delle macchine che non scompare ma viene aiutato dalla tecnologia ad essere ‘customizzato’. E’ stata usata la tecnica del projection mapping: l’animazione principale aveva una dimensione di circa undici milioni di pixel, che sono stati ripartiti sui sei videoproiettori Canon XEED. Gli steli verticali e le videoproiezioni sugli oggetti sono stati invece mappati singolarmente da un computer portatile con l’utilizzo del software MadMapper e poi mandati in loop su un sistema di riproduzione multimediale agganciato al videoproiettore. Questo ci ha permesso di correggere fino all’ultimo minuto le maschere e gli allineamenti con gli oggetti nello spazio per garantire al massimo l’effetto immersivo delle proiezioni. Tutti i contenuti sono stati costruiti grazie anche alla collaborazioni degli studenti del Master in Digital Exhibit dello Iuav di Venezia”.
Si ringraziano per la collaborazione:
XXI Triennale di Milano – New Craft – triennale.org/mostra/new-craft/
Maurizio Arena – Volume Srl – ggroupinternational.com
Stefania Anzil – GEZA Gri e Zucchi Architetti associati – geza.it
Cristina Barbiani – Coordinatrice del Master MDE, Iuav Venezia – m-ia.it
Canon Italia – canon.it