Negli ultimi decenni, l’accelerazione impressa al cambiamento è paragonabile ad una profonda rivoluzione: oggi, in un anno accadono cose che all’inizio del secolo scorso impiegavano 60 anni. L’importanza del saper cambiare rapidamente.

Globalizzazione e nuovi strumenti hanno impresso una forte accelerazione al cambiamento dei mercati e del nostro modo di vivere. Basta guardarci attorno e riflettere un attimo sulle cose che facciamo rispetto a qualche anno fa per renderci conto di quanto siano cambiati i nostri comportamenti. 
È soprattutto cambiato il modo e i luoghi dove fare i nostri acquisti: questo ha generato un mercato radicalmente diverso da quello di quindici/vent’anni fa, con nuove e più precise esigenze perché siamo più informati e nuovi attori.




L’accelerazione

Quello che impressiona maggiormente è la velocità di cambiamento del mercato: una ricerca condotta da un importante Istituto evidenzia che, oggi, l’entità dei cambiamenti che accadono in un anno può essere paragonata a quella che avveniva, all’inizio del secolo scorso, in 60 anni. Entro il 2020 è prevista la quarta rivoluzione industriale che ci porterà robotica avanzata, trasporto autonomo, intelligenza artificiale, biotecnologie, materiali avanzati e altro. Nuove tecnologie che influiranno profondamente sul nostro modo di vivere. Con questo scenario è facile prevedere che il mercato, nel prossimo futuro, continuerà a cambiare con crescente intensità. Uno tsunami che ha travolto tutti: governi, mercati, privato cittadino. Lo possiamo constatare ogni giorno dalle notizie che giungono da ogni parte del mondo. Un forte acceleratore è, senza dubbio, Internet.


Rifiutare il cambiamento

Di fronte a questo scenario, i leader delle imprese non possono rimanere ingessati sulle loro posizioni ma devono, quantomeno, porsi il problema e cercare di agire in modo proattivo, adattando comportamenti e scelte alla nuova realtà. 
Occorre che nelle imprese prenda forza la cultura del cambiamento, cominciando ovviamente dall’alto della scala gerarchica, adottando un pensiero critico e proattivo. Dovranno essere giustamente considerati rischi e vantaggi ma con un approccio positivo alla problematica, affrontata con una giusta dose di ottimismo che, unitamente alle competenze necessarie, possono dare vita ad una sana e profittevole innovazione.


Innovare per competere

In Italia siamo più restii ad affrontare un cambiamento: ci rendiamo conto, ne parliamo, ci lamentiamo ma siamo più lenti nel reagire rispetto ad altri Paesi industrializzati nel mondo. Siamo più tradizionalisti: abbiamo, fortunatamente, una grande storia e spesso una cultura ad essa ancorata che ci frena. È facile nelle aziende sentir dire: “Abbiamo sempre fatto così e siamo andati avanti bene, perché cambiare?” 
Anche nella ricerca dell’innovazione tecnologica non siamo tra i primi della classe. Qui abbiamo dei dati precisi che ce lo confermano. Il riquadro dedicato dice chiaramente che i nostri investimenti in ricerca e sviluppo vengono molto dopo quelli tedeschi, (e questo è risaputo), ma a anche dopo quelli francesi e spagnoli. 
Va tuttavia considerato che, come sappiamo, il tessuto imprenditoriale italiano è caratterizzato da micro e piccole imprese (le imprese familiari sono cinque milioni), poco propensi ad investire in ricerca e sviluppo anche perché molto spesso i ricavi non lo permettono. 
Come nota positiva va sottolineato che nel mondo i nostri prodotti sono molto apprezzati e l’Italia è considerata ‘tra le eccellenze in produzioni ad alto valore aggiunto’. Il nostro paese è una fucina di esperienze, imprese e capitale umano che potenzialmente possono diventare l’avanguardia di un nuovo modello di sviluppo, fatto di innovazione e competitività. A patto che assecondi la propria vocazione a produrre bellezza e qualità, riuscendo magari anche a trattenere i propri talenti.


Marketing e Vendite: due protagonisti

Per definire un programma innovativo è innanzitutto importante rimanere concentrati e razionali, cercare di definire un progetto che assicuri linee guida a chi opera. Quando idee e obiettivi non sono chiari e condivisi il rischio di avere risultati non soddisfacenti è elevato. 
In questa fase aziendale il marketing è in prima linea, nel bene e nel male: a proposito, rende bene l’idea un noto sondaggio effettuato negli Stati Uniti dove viene evidenziato che un Direttore Marketing resta in carica mediamente 28 mesi, molto meno dei 54 mesi di un Direttore Amministrativo, a volte per essere stato indotto a lasciare la società a volte per sua iniziativa, dopo aver ricevuto un’offerta di lavoro più interessante.


Forma mentis innovativa

Come cambiare l’approccio di marketing e in che cosa? 
Non è ovviamente possibile dare indicazioni con un semplice articolo perché ogni azienda è una storia a sé: per esprimere un parere è indispensabile una sua approfondita conoscenza e analisi di: risultati storici, politiche in atto, problematiche interne, andamento del mercato in generale e del proprio, livello motivazionale della forza di vendita (che di solito non è ai massimi storici), canali utilizzati, parco dei clienti e altro. Obiettivo dell’elenco che segue non è dare un’indicazione precisa ma indurre la vostra azienda a riflettere su alcuni punti caratterizzanti il vostro modo di fare marketing.


Formazione indispensabile

Occorre cambiare tecnologie, strumenti, processi ma anche prendere in considerazione una formazione adeguata alle persone che, con il loro modo di pensare, le loro competenze e i loro comportamenti possono far vincere o far perdere le sfide. La formazione è una leva fondamentale per la riqualificazione e lo sviluppo delle competenze strategiche del proprio management e della forza di vendita che ogni giorno vi rappresenta dai clienti. 
Da una ricerca condotta dall’osservatorio di Expo training su 400 imprese PMI con 50÷500 addetti è risultato che le aziende italiane non fanno formazione a sufficienza rispetto alle aziende di altre nazioni europee. Inoltre, le attività formative delle aziende si concentrano prevalentemente su competenze tecniche e di base ma non strategiche. I corsi riguardano soprattutto la sicurezza, l’insegnamento della lingua inglese e l’informatica mentre sarebbero molto utili corsi che sviluppano competenze trasversali come lavorare in team, la comunicazione interpersonale, lo sviluppo della capacità relazionale ed empatica del personale di vendita, front e back office. 
Per concludere: la formazione in azienda è da considerarsi utile se produce un cambiamento. Per evitare uno spreco di risorse e tempo, evitate la formazione ‘una tantum’: serve a poco; invece, definite con professionisti competenti, dopo aver condiviso i pro e contro della vostra organizzazione, un piano formativo per avere un riscontro operativo dopo un incontro precedente di formazione; infine, ‘aggiustate il tiro’ su quelle che verranno.


Si ringrazia per il contributo Luigi Oliva, titolare dello 
Studio EsseCi Consulente di management e formazione. 
Professionista Socio Qualificato APCO – CMC n° 2000-0004 operante nell’ambito delle prerogative di cui alla legge n° 4-2013.
 

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