L’Efficienza Organizzativa rappresenta una leva potente in termini di competitività e redditività. L’articolo analizza alcuni specifici metodi applicativi, non così difficoltosi da implementare, per migliorarla apprezzabilmente.

Le disfunzioni di carattere organizzativo non sono così immediate da individuare e, soprattutto, da analizzare analiticamente. Questo perché le attività associate rappresentano il risultato di consuetudini e prassi consolidate da lungo tempo; non da meno riflettono la mentalità di chi le esegue o le gestisce, che così non è in grado di valutarle in modo distaccato ed obiettivo. Onde evitare frustranti fallimenti, l’analisi delle pratiche in uso nel contesto produttivo e le eventuali successive soluzioni di ottimizzazione devono evitare di considerare le mode del momento, ma calarsi nella specifica realtà aziendale.


La qualità

Negli anni passati, sono stati proposti vari metodi sulla qualità come il TQM (Total Quality Management), il TPS (Toyota Production System), il Six Sigma, lo Score Card, la BI (Business Intelligence) e altro ancora, ottenendo risultati positivi solo dove le risorse disponibili erano consistenti. L’esito è stato viceversa negativo, dove i mezzi economici, il tempo, gli uomini e la cultura aziendale non potevano supportare metodologie così corpose, risultate quindi inadatte e ingiustificate nei contesti tipici della piccola e media industria, sia essa manifatturiera o dei servizi.


Il sistema Toyota

Prendiamo ad esempio il Toyota Production System, conosciuto anche come Lean Organization (organizzazione snella). Si scopre che la nota casa automobilistica ha impiegato circa quindici anni per giungere ad applicarlo con successo nelle proprie fabbriche. Non da meno, il sistema perché funzioni al 100% deve essere esteso anche ai fornitori. Considerata la taglia media/medio-piccola delle nostre imprese appare chiara l’oggettiva difficoltà di condizionare, in termini di quantità e di tempistiche, l’importante anello della fornitura. Di conseguenza, il tentativo di applicare la Lean in toto, salvo casi particolari, è destinato ad arenarsi ancor prima di iniziare. Eppure, se andiamo a studiarne la filosofia e le tecniche operative, scopriamo che molti (non tutti) concetti risultano estremamente interessanti anche per la “nostra” impresa e che, tutto sommato, alcuni degli specifici metodi applicativi non sono poi così difficoltosi da implementare. L’idea originale è basata sulla razionalizzazione dei processi aziendali con lo scopo primario di eliminare ogni fonte di spreco. Aspetto assolutamente non trascurabile è che gli investimenti richiesti sono spesso nulli o molto modesti, giacché si tratta di agire più sui comportamenti che sulla struttura.


Gli sprechi in azienda

Prima di tutto ci si deve domandare cosa si intende per spreco e dove si trova, dato che apparentemente e sempre, il modo con cui si sta operando sembra del tutto ottimale e privo di inefficienze. In realtà è un po’ come cercare i funghi in un sottobosco. Ci sono ma è difficile vederli sia perché l’ambiente è “scarsamente illuminato” sia perché sono mimetizzati e solo un occhio allenato riesce ad individuarli. Si pensi, ad esempio, ad un reparto meccanico dotato di alcune macchine utensili e relativi operatori. Se da imparziali e distaccati spettatori si guarda con attenzione e spirito di osservazione alle operazioni svolte quotidianamente dagli addetti si scopriranno molte inefficienze. Esempi sono i tempi associabili non alle lavorazioni meccaniche vere e proprie (a Valore Aggiunto) ma ad attività accessorie, alcune necessarie e altre inutili. Il motivo non è da ricercare nell’incapacità dei lavoratori ma a cause organizzativo-funzionali come per esempio: movimentazione di carrelli e di pezzi grezzi o semilavorati; necessità fisica di recarsi in altri reparti o comunque lontano dalla postazione per i motivi più diversi come ricerca di utensili, documenti di lavoro, disegni, ordini…; programmazione, preparazione o avviamento delle macchine che di conseguenza risultano ferme; inattività assoluta in attesa che la macchina completi il compito in esecuzione. Senza considerare eventuali difetti che comportano la ripresa per rilavorazione o l’alienazione, con oneri non trascurabili. Domandandosi se vale la pena condurre una ricerca sugli sprechi e se è economicamente sostenibile un’eventuale successiva ottimizzazione dei processi, ci si può riferire al contenuto percentuale delle disfunzioni e alla loro consistenza rispetto al bene/servizio prodotto o al singolo processo considerato. Per la quantificazione è utilizzato il concetto di vero valore, o Valore Aggiunto, ossia quel valore che il cliente esterno o il cliente interno (lavorazione successiva), associa a ciò che gli interessa. Ad esempio, il tornitore che deve ricevere un cilindro di ferro di una certa dimensione e non incartato perderà indubbiamente più tempo se gli arriva arrugginito, di dimensioni sbagliate e dentro una scatola sigillata. Così per la signora che acquista un paio di scarpe non ha nessuna importanza conoscere i trattamenti subiti in fabbrica ma il suo interesse sarà rivolto alla forma, al colore, al materiale, alla calzabilità e al prezzo. Statisticamente si scopre, come mostrato in Figura 1, che mediamente un processo è così caratterizzato : – 10% Valore Aggiunto – 70% necessario ma senza valore aggiunto – 20% veri sprechi


Due esempi significativi

Acquistando un telefono cellulare (valore) ci si porta a casa anche un manuale di istruzione multilingua e la confezione. Quest’ultima non interessa (scarto) e del manuale si può gettare il 90% scritto in lingue straniere (quindi senza valore); solo il 10% in italiano è necessario ma a valore minore rispetto al telefono. Sul lavoro, si pensi alla semplice attività di fare una fotocopia in un grande ufficio. Per farla (il vero valore) bisogna alzarsi dalla propria scrivania e magari recarsi in un’altra stanza (spreco di tempo) dove si trova la macchina fotocopiatrice, accenderla ed attendere che sia pronta (attività necessaria, ma senza Valore Aggiunto) e poi ritornare alla scrivania (ancora spreco). Se la macchina si inceppa o manca la carta, ulteriore spreco si somma al precedente.


Le inefficienze

Figura 1. Valore di un Processo
Figura 2. I due processi a confronto: prima e dopo l’azione di efficientamento

In ambito impresa possiamo affermare che vale sempre la seguente semplice equazione: Capacità produttiva = Lavoro + Perdite Il concetto è che, a parità di lavoro, si possono ridurre le perdite associate agli sprechi i quali in sostanza sono il risultato di inefficienze. La riduzione delle perdite si traduce in maggiore disponibilità di lavoro utile, fruibile per incrementare la produzione oppure risparmiabile. La Figura 2 evidenzia la ‘compressione’, ottenuta attraverso la sostanziale riduzione degli sprechi (parte rossa) e con l’ottimizzazione delle ‘operazioni necessarie ma senza valore’ (in azzurro). Per le attività di ufficio, esattamente come per quelle ‘di produzione’, esiste un’ampia varietà di sprechi e la torta di Figura 1 può ancora essere applicata anche se appare più arduo far risaltare le inefficienze poiché le transazioni si esplicano attraverso l’uso di mezzi e prassi che mascherano il flusso del valore. Nella produzione abbiamo a che fare con oggetti fisici ben visibili mentre, ad esempio, il contenuto e la durata di una telefonata sono di difficile correlazione.


Gli sprechi e i tipi di spreco

Le categorie alle quali appartengono gli sprechi
La fabbrica a sei zeri

In linea di massima si può parlare di sprechi se il risultato si traduce in errori e ritardi evidenti. Ma anche inefficienze meno visibili sono sprechi; si pensi a quelli derivanti da lavorazioni che iniziano per ri… (rileggere, riaprire, ricontrollare, richiudere…). Parimenti sono sprechi le attese o il tempo impiegato per leggere mail dal contenuto inutile e il necessario per rispondere ad esse. Nello stesso modo e con ragionamenti del tutto analoghi anche il tempo che viene fatto perdere ad un cliente in attesa di servizio o ad un utente davanti ad uno sportello è uno spreco che fa diminuire, anche drasticamente, il valore reale del servizio, percepito così come scadente. Nell’eventuale cammino verso l’efficienza organizzativa, bisogna tener presenti due fattori: 1- È inutile aumentare l’efficienza, ovvero diminuire gli sprechi, se non ci sono vantaggi economici; 2- Se si decide di procedere, il primo passo da compiere è rendere efficiente il lavoro ‘umano’, con benefici del 30-50%, e, solo in un momento successivo, concentrarsi sul miglioramento delle macchine. Gli sprechi, secondo la scuola giapponese, appartengono alle categorie riportate in Tabella 1. La valutazione dei risultati non va limitata al solo aspetto qualitativo o soggettivo ma deve essere confortata da indicatori quantitativi e tra loro confrontabili. Perciò essenziale è il periodico monitoraggio dei fenomeni, attraverso l’analisi di determinati indici di prestazione, i cosiddetti KPI (Key Performance Index), scelti in funzione del processo sotto esame. Questo modo di agire permette innanzitutto di verificare il raggiungimento degli obiettivi e le tendenze nel tempo senza possibilità di incertezze e malintesi. La meta a cui tendere è la cosiddetta Fabbrica a Sei Zeri, visualizzata in Tabella 2.


La Fabbrica a Sei Zeri

Che cosa significa considerare la Tabella 2, relativamente agli sprechi? Ad esempio per il quinto punto, se di scorte se ne possiedono in eccesso si è costretti a mantenere un magazzino con relativi locali, spazio a terra e scaffalature, energia consumata in riscaldamento e illuminazione, personale addetto alla movimentazione e addetto alla gestione dei documenti. Sono indispensabili mezzi come carrelli e muletti. Tempo e fatica vengono dedicati a caricare, scaricare, impilare, riprendere le scorte. Anche gli aspetti finanziari in termini di indice di rotazione e di impegno del capitale vanno valutati. Per ottenere la fabbrica a Sei Zeri si dovrebbe: – produrre solo su richiesta; – eliminare i difetti; – eliminare gli sprechi; – ridurre i costi; – ridurre i tempi; – ridurre il personale (non in assoluto ma per quello specifico processo). La fabbricazione dei 1, dovrebbe avvenire a flusso continuo, con una cadenza ben ritmata e al minimo livello, necessario e sufficiente per soddisfare la richiesta momentanea del cliente.


I metodi JIT e il concetto di produzione ‘pull’

Figura 3. Produzione: Logiche “Pull” e “Push”

Quanto detto è fattibile utilizzando particolari tecniche organizzative proprie dei metodi JIT (Just in Time) basati comunque su previsioni a lungo o medio termine con la ridefinizione settimanale della capacità produttiva reale, riportata infine alla singola giornata lavorativa. In questo modo diventa facile dimensionare la produzione sulla domanda e, come conseguenza, diventa anche più semplice soddisfare eventuali varianti in linea produttiva senza dover apportare modifiche su prodotti stoccati. Approfondiamo i concetti riferendoci al flusso di prodotti che transitano in un qualsiasi supermercato. Le scorte nel magazzino del supermercato sono tenute al minimo. La merce passa dal magazzino agli scaffali solo quando i clienti prelevano da questi lo stesso tipo di bene. In pratica, la produzione dal magazzino avviene solo dopo che il cliente preleva la merce, in un processo ‘a tiro’ o ‘pull’, secondo la seguente catena: il cliente ‘tira’ la merce dallo scaffale, lo scaffale ‘tira’ la merce dal magazzino, il magazzino ‘tira’ la merce dal fornitore. Nelle aziende con produzione tradizionale per ‘Lotti e Code’, la merce viene invece prodotta secondo un processo ‘a spinta’ o ‘push’. In pratica sulle previsioni di vendita si produce per lotti, si immagazzina e si attende poi che il cliente acquisti, come viene evidenziato in Figura 3. Oggi, prevedere il mercato con buona certezza risulta arduo e la produzione, programmata in modo classico, generalmente si discosta dalla domanda con eccessi o carenze. Un sistema pull, sarebbe invece l’ideale dato che si produce solo ciò che viene richiesto a breve termine, pur non trascurando un orizzonte temporale lungo. Senza arrivare agli estremi delle aziende totalmente Lean, e coinvolgendo solo in parte o per nulla i fornitori, l’Organizzazione Snella potrebbe vantaggiosamente entrare in alcuni reparti o uffici senza costi e con vantaggi certi.


I miglioramenti organizzativi

Va detto che non si tratta di smantellare il sistema organizzativo e gestionale dell’impresa o di ridistribuire i compiti ma di ottimizzare le procedure e le modalità operative in essere e, per diagnosticare lo stato presente, di comportarsi sezionando sempre più la successione delle operazioni seguendo metodi di analisi per la: – definizione del valore in ogni punto della catena; – identificazione dei flussi del valore ed eliminazione degli sprechi; – fluidificazione dei flussi produttivi; – impostazione “in tiro” dei flussi; – ricerca dell’ottimo e miglioramento continuo. Del valore si è già accennato all’inizio. Per rilevare gli sprechi, che appesantiscono i costi, si procede prima scomponendo i flussi di materiale, di informazioni e di documenti che intercorrono fra le macroaree coinvolte nelle operazioni analizzate, mettendo in risalto tempi e scorte esistenti tra i vari anelli, per ottenere un quadro indicativo di massima. Successivamente si andranno ad esaminare in dettaglio i flussi all’interno delle singole macroaree. L’intervento di sintesi, consiste nell’individuare e valutare, le possibili alternative che siano in grado di eliminare le disfunzioni o gli sprechi emersi, tenendo ben presenti il contesto e i vincoli economici sia in termini di investimento che di ritorno.


La filosofia Kaizen

L’ultimo argomento è la filosofia di pensiero detta Kaizen, che calata nel mondo lavorativo, si traduce in azione reale. In pratica, una volta che ha inizio il processo di miglioramento delle attività produttive o di ufficio e si contabilizzano i vantaggi ottenuti, diventa naturale procedere su questa strada in un circolo senza limiti e con passi piccoli ma continui. In conclusione e per dovere di correttezza, va detto che ogni azienda od organizzazione rappresenta un caso a sé ed eventuali interventi devono, di conseguenza, essere mirati e sempre proporzionati agli obiettivi e alle risorse disponibili. In particolare, non tutti i metodi a disposizione della Lean possono essere implementati o adottati in qualsiasi contesto ma, in generale, anche un’applicazione limitata consente di ottenere notevoli incrementi positivi traducibili in risparmi di risorse e corrispondenti vantaggi in termini di produttività e competitività.

Si ringrazia per il contributo Chiastra & Mazza – Formazione e Consulenza
www.chiastraemazza.it